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LIBERO SCAMBIO

L'accordo Ue-Londra non è un ritorno all'ovile. La Brexit resta

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Presentato come un "reset" o come la fine della Brexit, l'accordo fra Regno Unito e Ue riguarda la difesa e altri interessi comuni. Le opposizioni conservatrici lamentano troppe concessioni. Ma dalla Brexit non si è tornati indietro.

Economia 21_05_2025
Il vertice di Londra Ue-Regno Unito (La Presse)

Un “reset”, così è stato soprannominato dal premier laburista britannico Keir Starmer l’accordo con l’Unione Europea, raggiunto dopo il summit di Londra del 19 maggio. Reset perché ripartono da zero i rapporti dopo la Brexit del 2016. Ma è davvero così? E quindi hanno ragione i leader dei partiti d’opposizione, Kemi Badenoch (conservatrice) che lo chiama “tradimento” della volontà degli elettori britannici e Nigel Farage (Reform UK) che lo definisce niente meno che una “resa” del Regno Unito?

I quotidiani di taglio europeista, fra cui quasi tutti quelli italiani, hanno interesse a presentare l’accordo fra Starmer e la von der Leyen come una cancellazione della Brexit, esattamente come i leader dell’opposizione britannica, per i motivi opposti. Ma fuor di retorica, dalla Brexit non si è affatto tornati indietro.

Boris Johnson, l’ex premier conservatore che ha formalizzato l’uscita del Regno Unito dall’Ue, in un lungo tweet, commenta così: «Il doppiopesista Keir (Starmer, ndr) sta ancora una volta venendo meno alle promesse fatte al popolo di questo Paese, rendendoci membri senza diritto di voto di un’Unione Europea a due velocità. In base a questo accordo scandaloso, il Regno Unito dovrà accettare la legislazione dell'Ue su una serie di misure che vanno dagli standard alimentari allo scambio di quote di emissione». Tuttavia il Regno Unito, anche dopo questo accordo, rimarrà fuori dal Mercato Unico e dalle sue regole, manterrà il pieno controllo delle sue frontiere, anche per quanto riguarda l’immigrazione, quindi non si può parlare di un ritorno “all’ovile” dopo la Brexit, per quanto gli euroscettici lo temano e gli europeisti ci sperino.

In che cosa consistono gli accordi? Sono due documenti (che devono ancora essere ratificati), uno sulla difesa, l’altro economico. L’accordo sulla difesa riconosce nella Russia di Putin una minaccia comune alla sicurezza sia del Regno Unito che dell’Ue, per cui pone le basi per una maggior cooperazione militare fra Bruxelles e Londra. Anche se già la maggior parte dei membri europei della Nato (di cui la Gran Bretagna è membro fondatore) fa anche parte dell’Ue, con questo nuovo partenariato si mira a rafforzare la cooperazione europea, anche in vista di una possibile (anche se poco probabile) uscita degli Usa dall’alleanza. Londra avrà dunque accesso al fondo europeo per la difesa e parteciperà, con le sue aziende, a consorzi europei per la produzione di nuovi sistemi d’arma. Il Regno Unito parteciperà anche alla Pesc, la Politica estera e di sicurezza comune, con un coordinamento più stretto fra il governo britannico e l’Alta Rappresentante europea Kaja Kallas.

Su questo primo punto non ci sono particolari problemi politici con l’opposizione, perché anche i Conservatori, con i loro quattro governi post-Brexit (May, Johnson, Truss e Sunak), hanno cercato maggiori intese con le potenze militari del continente, soprattutto in chiave anti-russa. La polemica nasce invece sul secondo documento, quello economico.

Qui iniziano i dolori soprattutto sull’accordo sulla pesca: i pescherecci dei membri dell’Ue potranno navigare e operare ancora nelle acque britanniche (e viceversa), come era prima della Brexit, fino al 2038. Non cambiano neppure le quote massime consentite del pescato. Sul settore ittico avevano fatto campagna per la Brexit sia Farage che Johnson e questo accordo, per loro, non è facile da digerire. Non lo sarà neppure per l’elettorato che nelle zone laburiste è già conteso dal Reform Uk. Anche gli accordi sul settore agro-alimentare, che prevedono una maggiore libertà di scambio fra Ue e Regno Unito, impongono gli standard europei sui cibi e prodotti agricoli inglesi da esportazione. Starmer è soddisfatto e commenta che l’accordo «darà impulso agli esportatori britannici perché, dopo una lunga assenza, potremo nuovamente vendere hamburger, crostacei e altri prodotti britannici nell'Ue». Addio lungaggini burocratiche alle dogane, insomma. Ma Johnson, a distanza, replica che in questo modo «Perderemo quindi la nostra libertà di innovare in settori quali l’editing genetico e molti altri ancora».

È stato raggiunto un accordo di libero scambio anche per i settori energetico e dell’acciaio. E non è escluso che il Regno Unito rientri ancora nel mercato interno dell’elettricità dell’Ue. Starmer commenta, soddisfatto, che: «L'accordo odierno ci consentirà di lavorare per riunire nuovamente questi sistemi, a vantaggio dei contribuenti e dando impulso al nostro settore delle energie rinnovabili nel Mare del Nord», e sull’acciaio «protegge le nostre esportazioni di acciaio dai nuovi dazi dell'Ue, facendo risparmiare all'industria 25 milioni di sterline all'anno». Anche qui l’opposizione darà battaglia contro la ratifica perché, aderire al mercato comune dell’energia, vuole anche dire accettare la logica del Green Deal e dei suoi successori. Quindi: più rinnovabili, eliminazione dei fossili e forse una riabilitazione del nucleare. Starmer è d’accordo perché sono anche le sue idee, ma l’opposizione, soprattutto quella di Farage, è pronta a lottare. Certo è che, negli ultimi otto anni, i governi conservatori hanno fatto poco o nulla per smarcarsi dal modello europeo.

Infine, suscita perplessità l’accordo sulla libertà di circolazione delle persone, che preoccupa soprattutto i sostenitori della linea dura contro l’immigrazione. Ma l’intesa con Bruxelles apre le porte solo ai cittadini comunitari, sotto i 30 anni di età, residenti nel Regno Unito per un massimo di due anni, per motivi di studio e lavoro, e senza aver accesso ai servizi di welfare britannici. Nulla toglie ai controlli più severi annunciati da Starmer (con il nuovo Libro Bianco sull'immigrazione) che valgono per tutti gli altri.

C'è dunque una grande differenza fra un’intesa con l’Ue e la piena adesione all'Unione. L’intesa è temporanea, riguarda solo settori che si considerano reciprocamente vantaggiosi e nel prossimo futuro potrebbe essere rinegoziata. L’appartenenza all’Ue, soprattutto per i paesi membri dell’eurozona, è invece sempre più simile all’appartenenza ad uno Stato sovranazionale continentale, la cui tendenza marcata è quella verso la centralizzazione (chiedere a Polonia e Ungheria per capire quanto Bruxelles possa intervenire a gamba tesa anche in questioni di politica interna).

La prova che le condizioni sono cambiate dopo la Brexit? Starmer, prima del vertice di Londra con l'Ue, aveva già siglato, all’inizio di maggio, un accordo di libero scambio con l’India ed uno con gli Stati Uniti. Non avrebbe mai potuto firmarli se Londra fosse stata ancora nell'Unione: le trattative Usa-Ue, infatti, sono appena iniziate e quelle fra Ue e India sono in stallo da anni, a causa di reciproche opposizioni. Lo scopo finale della Brexit, escluse le irrealistiche aspirazioni all’isolamento di una minoranza di euroscettici, era proprio quello della “global Britain”: un Regno Unito libero dai lacci europei, per tornare a scambiare e comunicare con tutto il mondo. Perché i lacci europei ci sono eccome, anche se raramente lo realizziamo.



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